
La poetessa si muove con potente abilità nel gioco dell’invenzione linguistica e delle metafore che diventano spesso simboli, voci musicali, di sapiente consapevolezza anche evocativa e perfino di espressività teatrale.
Che cosa è mai la poesia?, chi è mai il poeta? si chiede Antonella Rizzo in Ex-voto.
La domanda intrigante di sempre. La nostra poetessa prova a dircelo con linguaggio mite di preghiera, come quello del graziato in veste da penitente che porta il suo ex-voto di ringraziamento: un canestro di verbi nuovi,… aspettando il giorno. Ricerca e fiducia. Si accoda agli altri il poeta, ne condivide dolorosamente “godendo” l’umanità piangente, i mali nascosti… ma, Avvoltoio e Cerbero, (o immagini di potente efficacia e di lacerante sincerità!), sfida i giorni e la quotidianità feroce che, novella opera da lanzichenecco prevaricante prezzolato e servo, languidamente conforta.
Un’ispirazione poetica la sua fortemente legata alla dimensione spirituale, naturaliter religiosa: lo conferma in Una cattedrale gotica, dove presta in prima persona la voce di riflessione alla stessa opera, la cattedrale potente e solenne, testimonianza di fede, inconsapevole di essere tutta guglie e pinnacoli ed archi rampanti, che nascondono dietro la rabbiosa forza le debolezze e gli incubi mascherati: un incentivo, un invito a lasciare definitivamente ogni orpello o pinnacolo, protesi o bastone di supporto e camminare lungo la mia strada/ senza protesi armate dal bisogno /di decolli e di ali.
Conferma la sua vena etica nella ricerca dell’immobilità di contro alle immagini – celesti ardimentose e complici – volatili, del Tempo, metafora del nostro vivere violento, che ha mani tenaci/ e pelle di salamandra.
Abbiamo bisogno più che di un medico di un curandero… per slegare l’anima dalla catena…che ci tolga, col disincanto, dalle nostre malate ossessioni riconquistando la nudità e la verità.
Maria Grazia Ferraris
Una cattedrale gotica
così mi hai chiamata
portando la mano al petto
e al cielo.
Che mi perdo tra le nebbie
e ho coscienza della morte solenne
già lo sapevo ed annuivo.
Immaginavo e non sapevo
di essere di guglie
e di pinnacoli
di archi a sesto acuto
che scaricano la rabbia in voli
e ritorni in cappelline
abitate da incubi notturni.
E sono allora arzigogoli di vetro
i battiti veloci di un cuore
che si lancia senza precauzioni
da volte pungenti e distaccate
algide presenze
umili e regali.
Ora penso di gettare quel batocchio
e camminare lungo la mia strada
senza protesi armate dal bisogno
di decolli e di ali.
Sono qua
ad aspettare il giorno
con un canestro di verbi nuovi.
Il poeta, o chi conduce il tempo
è avvoltoio e Cerbero.
S’accoda all’umanità piangente
gode dei languori mai narrati
similitudini tra mali,
al lavoro alacre dei Pastori
nei lanzichenecchi globali
dei nostri giorni.
Rendimi immobile
all’ardimento degli orizzonti
e alle nebulose complici.
Il tempo mio è violento
ha mani tenaci
e pelle di salamandra.
Un curandero bianco
slega l’anima dalla catena
mutando in disincanto
i nudi degli Eroi.